La donna davanti a me guardò fuori. La pioggia sbatteva contro il vetro appannato con gocce rabbiose, opache nella luce fredda di gennaio, mentre una teoria infinita di auto dai colori sbiaditi scivolava accanto ai binari del treno. Lo sferragliare delle rotaie cullava i suoi pensieri, li scioglieva nell'aria, e liberi si annodavano senza un ordine preciso, mucchio sparso che ad un tratto si ricomponeva attorno ad un'idea.
L'indice le scivolò sul vetro tracciando una linea tremolante, un poco storta, un segno luminoso sul biancore muto che divenne presto lettera e poi nome. Sembrò ridestarsi dai suoi pensieri attorcigliati, lo fissò sperduta e spaventata, quasi si trattasse di una minaccia, chiuse a pugno la mano e nascose con vergogna l'indice ancora umido. Forse le mancava la forza di cancellare quel nome, di passarci sopra il palmo aperto e farlo divenire soltanto l'alone di un ricordo. Non lo so.
Il treno rallentò la sua corsa, diminuì il rumore sui binari bagnati. La donna mise il cappotto ed uscì dal vagone.
Sul vetro ancora quel nome. Non volli entrare nella storia di quella donna, cancellare quel nome con un gesto veloce della mia mano.
Spettava a lei.